LO VUOI UN
MIO LIBRO?
È GRATIS!
Ho deciso di
regalare i miei libri. Lo faccio perché non riesco a venderli. Non riesco
a venderli perché non sono nessuno e, purtuttavia, mi piacerebbe che
qualcuno li leggesse in quanto libri… e non perché editi dalla grande casa
editrice che li pubblica in pompa magna, li pubblicizza e li smercia nei
posti giusti.
Ne discende
che i miei libri non abbiano valore? Non soddisfino il lettore?
Non credo
affatto!
Quando
partecipo ai concorsi letterari (in Italia per fortuna ce ne sono di ogni
tipo e in tutti gli angoli), i miei libri editi, i manoscritti, i racconti
soddisfanno giurie, ottengono premi. Non sempre il primo premio, per
carità (ci sono in giro tanti validi, bravi, tenaci scrittori
– scrittrici per la più parte –
quasi completamente sconosciuti; si tratta quindi di competizioni
piuttosto serrate), ma spesso figurano nelle prime posizioni. Insomma,
difficilmente i miei testi passano inosservati alle competizioni
letterarie. E il fatto che vengano notati, vuol dire che sono validi? Non
lo so. Ma il parere di una giuria (le nostre pare siano tra le migliori al
mondo) vorrà pur significare qualcosa, o no?
Inoltre,
quando raramente ho venduto, sono stato raggiunto da pareri di lettori che
mi hanno molto gratificato.
Non aggiungo
altro, sono certo si tratti di problematiche note a tutti…
Regalo i miei
libri a chi li vuole leggere. Li allego a una posta qualsiasi in formato
PDF e, quindi, leggibili con computer, portatile, tablet o altro (tipo
Kindle Paperwhite e simili).
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CORRISPONDENZE
Ho conosciuto Daria. Daria Dell'Arte. Pittrice come me. Donna straordinaria
e fantastica. Straordinaria perché intelligente e attenta alla cultura,
anzi, alla Cultura (con la C maiuscola); fantastica perché frutto della mia
fantasia: cioè di un dilettante (quale io sono) da sempre alla ricerca di una
“amica di penna” (preferisco sia donna, mi stimola maggiormente!) con la
quale intrecciare lo scambio delle idee, analizzare mestiere e tecniche,
discutere argomenti, confrontare temi che più solleticano gli umani
desideri.
Per un po’, utilizzerò questo spazio per scrivere a Daria (chiunque può
intromettersi – so già che mai accadrà! – e rispondere o controbattere o
esprimere qualsivoglia pensiero da indirizzare a:
albino.monteduro@gmail.com
Si può fare o è un principio di pazzia? È ancora possibile usare parole e
sentimenti per comunicare con altre persone (anche immaginarie) e relegare –
finalmente! – la macchina solo a “mezzo per la trasmissione” invece che
farla assurgere a “protagonista assoluta”? Si possono ancora usare le
parole, i concetti, i contenuti e non le faccine, gli esclamativi, gli
onomatopeici?
Proviamo…
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DARIA 4
Daria, sono felice di constatare che le mie indicazioni non ti siano
sembrate segni di saccenteria o di prosopopea o chissà cos’altro… ed hai
colto nel segno definendo le mie parole “critica costruttiva”. Ti prego
tuttavia di credermi se affermo, con tutta la sincerità di cui sono capace,
che per me tu sei una collega artista (e, a giudicare dalla chiarezza
espressiva dei tuoi discorsi, anche molto perspicace) con la quale devo e
intendo confrontarmi da pari a pari.
Veniamo ai nostri argomenti!
Vedi, Daria, credo che nel momento in cui uno di noi si accinge ad
esprimersi artisticamente deve necessariamente porsi degli interrogativi e,
per quanto complicato, deve obbligatoriamente giungere a delle conclusioni.
Se ciò non dovesse costituire la premessa, vuol dire che si procederebbe al
buio, stentando, rischiando perfino di rimanere a “metà del guado” (la sorte
peggiore che possa capitare ad un artista).
Tutto ciò (introspezione, analisi, interpretazioni…) l'artista deve farlo
da sé e per sé in completa solitudine (ecco perché, fin fine, ogni vero
artista è autodidatta). Non per
gli altri. Non per apparire. Onestamente. Mai per vanità!
Per esempio, si potrebbe partire col chiedersi: che cosa è l’arte? chi è
l’artista? Possono esserci delle enunciazioni che riescano a chiarirne le
funzioni, le azioni?
Ovviamente, pur sostenendo delle tesi, esse non saranno di certo univoche o
valide sempre e per tutto. Quindi? Non c’è soluzione, non si può sapere cosa
sia l’arte? l’artista?
Beh! Qualcosa si può dire! Ognuno per proprio conto lo dovrebbe scoprire.
Per esempio, nel mio piccolo ho questa idea: l’arte è una delle attività
umane che si esercita fuori dagli schemi (leggi: che non è possibile
asservire); anzi, è più facile immaginarla come attività
antisociale
dell’uomo.
Ma, paradossalmente, proprio qui è racchiuso il valore sociale dell’arte,
nel suo essere antisociale!
É vero che l’arte moderna, rispetto al pragmatismo dell’organizzazione umana
(specie occidentale!), sembra essere inutile .
É vero che di per sé, l’arte non si mangia, non alleggerisce la fatica degli
uffici quotidiani, non ha funzioni pratiche.
E ppure, sembra non se ne possa
fare a meno all’interno di una Società (in qualsiasi geografia: Occidente,
Oriente, Africa... la più sperduta isola del più remoto arcipelago della
Terra).
Ha una funzione che appare analoga a quella del
sogno
per l’individuo. Infatti, il sogno è liberatorio; esprime il represso;
realizza, in astratto, i desideri. Insomma, soddisfa l’inconscio di chi
sogna. Da ciò discende che l’arte compie la stessa funzione per l’inconscio
della Collettività. E proprio come il sogno agisce da valvola di sfogo per
il singolo, così l’arte funziona come meccanismo liberatorio per la totalità
degli individui.
E l’artista?
All’artista è riservato il difficilissimo compito dell’interprete, del
medium…
L’artista deve essere in grado di cogliere gli stimoli del proprio tempo
(i desideri, le ansie, i turbamenti, …), analizzarli, interpretarli, viverli
(se possibile) e poi trovare una modalità per esprimerli… ecco un’altra
difficoltà: trovare il procedimento per esprimersi (credo sia – e sia
stato – il problema principe di ogni artista sulla terra!). Tutti abbiamo
provato lo smarrimento della tela vuota, del foglio bianco, dello strumento
musicale muto.
In sintesi (come anche tu sostieni): l’artista è l’interprete
del proprio tempo; l’arte ne è il
prodotto.
Come funziona per te? Hai già risolto queste premesse?
Sai, Daria, mi colpisce la sincerità con cui ti esprimi. Talmente mi
colpisce, che mi fa venire voglia di parlare con te, di sbilanciarmi con te.
Non devi credere che capiti spesso di avviare una conversazione di una tale
difficoltà con chicchessia.
Saperne di più? Sicurezze? Carreggiate solide? Ma no, cara Daria! Siamo
tutti al nastro di partenza… sempre!
Nessuno, serio ed onesto, è mai davanti ad altri o è più sicuro di altri
o ha più certezze di altri. Non esiste il pittore tematico: degli uomini,
delle donne, dei fiumi, dei laghi, del sentimento… l’artista è
in fieri
ed è disponibile ad ogni esperienza espressiva. E l’opera è proprio nel
magma di quella pazzia che tu temi. Figura, materia, natura che si
riappropria degli spazi rubati, vulcani che eruttano sangue della terra,
corpi che si intrecciano nell’amore…
Spero di non spaventarti, ma credo che non ci siano tante, altre parole per
esprimere simili concetti.
Alla prossima. Ti voglio bene!
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PITTURA D’AUTUNNO
Lo aveva immaginato per intero. Prima volta assoluta. Era un quadro
autunnale, in uno di quei giorni di svolta delle stagioni.
Le foglie accartocciate dell’ippocastano, d’un verde nerastro, ancora
attaccate ai rami, che si stracciavano al vento rabbioso di una mattinata
fresca e limpida; o si staccavano e svolazzavano libere per poi posarsi
sul prato a intricarsi con i fili d’erba; o si quietavano, appesantite
dall’acqua, sulla superficie del lago – anche
lui agitato e marezzato dal vento.
Una serie di altre presenze pensate per arricchire l’opera. La
caraffa sbeccata ricolma di terra a contenere lo stelo spinoso e rachitico
di una ignota piantina; le losanghe multicolori di una lanetta rasata,
impigliata nel fil di ferro intorno a una canna e che era stata un
maglione sgargiante; il manufatto metallico di un congegno meccanico
adagiato sul terreno incolto e già tutto imbrigliato da implacabili
graminacee; la sagoma grigiastra di una tortora dal collare nella
cesta sbrindellata di vimini, ricolma di paglia e polistirolo da imballo.
Tutto se lo era figurato quel quadro e ora cercava la dimensione, la tela
giusta; ce ne voleva una quadrata, grande, centoventi per centoventi. Vi
avrebbe riportato pari pari il progetto, iniziando col dare un fondo
neutro: una terra, un verde marcio… Era stato per ore con gli occhi
socchiusi a vagheggiare. A lisciarsi la barbetta ispida sul mento e a
continuare a rifinirlo nei particolari.
A un dato momento, gli sembrò di aver maturato un metodo più rispondente
al proprio sentire e, per lui, inedito. Di aver aggiunto alla pratica
quotidiana una maniera più evoluta di lavorare… come accade, forse, agli
artisti più esperti.
Non fece più caso al mondo; solo le immagini gli volteggiavano in testa.
Sciolse in un vasetto della terra verde antica Van Dyck insieme a
un medium di olio di lino e trementina. Amalgamò moltissimo fino a
ottenere uno smalto mieloso, satinato, di un verde tendente al marrone. Lo
spalmò meticolosamente, uniformemente sulla tela posta in orizzontale,
poggiata per terra in un angolo della studio.
“È così che si deve principiare” pensò “alla base ci deve essere
sempre la terra, come nel mondo reale”.

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l'importanza
di un blog
Chi è Silvia Schenatti?
Per saperne di più su Silvia vale la pena di
avvalersi della prima domanda che lei stessa formula, attraverso le sue
ormai famose interviste, per approcciarsi ai “colleghi scrittori”.
Domanda inutile, in realtà; infatti, se si va a
cliccare su
www.paroleallimite.it la curiosità è presto soddisfatta:
Silvia Schenatti è una pagina aperta!
In soldoni, quindi, Silvia è una giovane scrittrice
di trentuno anni, laureata cum laude in Giurisprudenza che, tra i
propri interessi, possiede e gestisce di persona un blog in Altervista.
Cosa si fa con un blog? cosa si può fare? Ormai quasi
tutti sappiamo – nel bene e nel male – cos’è una pagina in Internet:
amicizie, confidenze, pettegolezzi, chiacchiere, amori, passioni,
schifezze persino.
Il blog di Silvia, invece, ha un altro profilo: il
suo è uno spazio dedicato alla ricerca linguistica, all’uso proprio dei
termini, all’analisi di linguaggi comunicativi che vanno oltre la parola
scritta e parlata… insomma, il blog di Silvia è uno spazio dedicato alla
cultura. Anzi, alla CULTURA.
Le intenzioni di Silvia sembrano quelle di un’umanità
che si fa sempre più rara nei tempi moderni e il suo ruolo ricorda
vagamente – con tutti i distinguo del caso – quello del “maître a
penser”; una specie di punto di riferimento per chi la incontra o per
chi già la conosce. Non parliamo, ovviamente, di grandi imprese, né di
eventi eclatanti. Non ci sono televisioni o talk
show dietro al nostro racconto. Ci riferiamo a semplici
faccende che accadono quaggiù, tra i mortali. Per esempio, c’è il ritratto
dell’operatrice turistica che si occupa di fantascienza; della commessa
che scrive racconti; dell’universitaria che pubblica la tesi. Oppure, sono
riportati fatti della quotidianità: l’incontro al tavolo di un bar per
presentare un libro; il ritrovo in una piazzetta di paese per svelarne le
pietre o per rievocare le usanze secolari; il caleidoscopio di un bosco
autunnale.
A trent’anni, anche Silvia ha già scritto un libro: “L’Inferno
dentro i suoi occhi” titola. Un libro agile, vivace, molto dialogato.
Emerge una specie di foga da parte dell’autrice a voler divulgare,
raccontare storie che lei ben conosce o che, soltanto, le affiorano “alla
penna” come polle sorgive. Ma è la prosatrice di razza che emerge
nettamente da quelle pagine, con dentro il farcito della suspense
del thriller. È per questo che si può immaginare che ci sarà un
secondo lavoro, e poi un terzo… ché non è facile frenare la febbre della
scrittura, soprattutto per chi ne ha già subito la seduzione o per chi ne
ha assaporato l’incantesimo.
Ma c’è anche altro da immaginare: se Silvia fosse
stata succeditrice di nobile famiglia italiana del Rinascimento, forse,
avrebbe scelto di essere "mecenate". Forse, si sarebbe circondata di
intellettuali e poeti. Forse, avrebbe dato corda a quel suo desiderio di
ascoltare i racconti degli altri, ma anche – se non soprattutto – di
raccontare lei stessa quello che le sarebbe passato per il cuore…
Grazie, Silvia, buon lavoro!
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Dilettiamoci
con i contenuti
di ogni tipo di libro che ci attrae
(e non facciamoci impressionare dal
rotacismo!)
Ho scoperto di avere una sola alternativa; non due come comunemente si
sostiene, ma una: posso essere solamente fedele lettore dei libri di
Lorsignori.
L’ho appreso tempo fa alla radio, in macchina, mentre tornavo da un
viaggio e ascoltavo per caso un programma per appassionati di
letteratura che trattava di editoria, libri, autori, lettori.
Da un’emittente nazionale, una signorina e un signore attempato (così
dalla voce!), molto eruditi ovviamente, mi hanno rivelato l’esistenza di
certi abusi perpetrati quotidianamente ai danni dell'industria
editoriale e mi hanno anche caldamente suggerito l'incombenza
riparatrice che ho citato sopra: leggere solo autori noti e libri
stampati da case editrici con acclarate qualità editoriali.
La signorina e il signore – linguaggio fluente, erre moscia, citazioni
brillanti – conversando con falsa bonomia, hanno interpretato le parti
intramontabili dei poliziotti dei telefilm americani: la cattiva
e il buono. La cattiva affermava che, dato il
proliferare di sistemi di auto-pubblicazione (lei, ovviamente,
inglesizzava self-plublishing), oggi scrivono in troppi, si
pubblica troppo: «Se tutti scrivono, finirà che non leggerà più nessuno;
come faranno poi i grandi scrittori a continuare a guadagnare e a
deliziarci con le loro straordinarie opere nuove? E cosa avranno, poi,
da scrivere e pubblicare gli intrepidi del self-plublishing?
Romanzetti, cosucce provinciali, scialbe, insignificanti, disseminati di
svarioni tremendi. Occorrerebbe dapprima sottoporre codesti avventati
all’esame di lingua italiana; dare un’occhiata all’uso dei congiuntivi,
dei termini. E la sintassi? e l’ortografia? Non ne parliamo!». Così si
esprimeva la signorina. E il signore (poliziotto buono)
rispondeva: «Ma no, ma no! Non si deve essere così drastici. D’altra
parte la pluralità è divertente, tanto poi il bravo lettore saprà
discernere, saprà cosa leggere: sceglierà i veri autori (leggi: i
soliti noti) e i bei libri (leggi: delle solite case editrici)».
Mi ha colpito la sensibilità di quei conduttori. L’apertura mentale.
Pensate se con i loro discorsi avessero tarpato le ali a un
Hugh Howey,
oggi uno dei più amati scrittori americani di fantascienza.
O se avessero intimidito con le loro chiacchiere un’Amanda
Hocking,
che al momento vende milioni di libri ed E-book. Oppure se
avessero fatto tentennare
la nostra Anna Premoli, che ha vinto il Bancarella del 2013
pubblicando dapprima sulla piattaforma Narcissus.
Insomma, quanto ristretta sia la visione di cronisti autorizzati a
trattare argomenti così delicati e complessi e, soprattutto, quanto
scarsa sia la loro considerazione verso il lavoro di altri, quel
farne di tutta l’erba… E mi sono auto-subissato di domande: «Ma chi
bip sono questi esseri così illuminati e altruisti?
«A quale schiatta appartengono degli intellettuali tanto sapienti?
«Vengono anche retribuiti per esprimere tali idee alla radio?
«Chi consegna nelle loro mani i microfoni?
«Chi attribuisce loro la facoltà di patentare scrittori? »
E poi, all’emergere di nuovi dubbi e tormenti: «Non sono per caso quei
bei signori che hanno avuto tutto dalla vita? Insomma, Lorsignori!?
«Non sono, per caso, i figli d’arte (o di papà) che per la bravura, di
solito congenita in rampolli così generati, hanno avuto diritto di
accesso a quei famosi microfoni?
Forse no, vai a saperlo!
Ma certamente non sono quelli che devono lavorare per guadagnare
abbastanza per pagare bollette. Quelli che mantengono famiglie nelle
case in affitto, non sempre riscaldate a dovere, dove spesso qualcuno
contrae quella bronchitella noiosa, curata male da medici condotti non
proprio preparatissimi – ma i soli disponibili quaggiù, tra comuni
mortali.
Non sono sicuramente quelli che hanno completato il loro manoscritto –
rubacchiando tempo qua e là – con determinazione e sentimento e quando
lo hanno inviato alla casa editrice, sono stati invitati a stampare a proprie
spese: «Perché la programmazione editoriale di quest’anno è ormai al
completo. Ci dispiace!».
Certo che sono al completo! Lorsignori hanno già occupato i pochi
spazi disponibili e non c’è trippa per gatti o per
avventurieri della penna o per chi disturba i veri
manovratori. Infatti, solo Lorsignori sono gli unici attori
deputati a scrivere e a stampare le loro meravigliose storie frutto
dell'italiano perfetto i cui assaggi d’ascolto, letti
nelle serate letterarie tenute in librerie accreditate e replicate nelle
televisioni, talkshow, parate mondane e in ogni altra buona
occasione, risuonano gravi, belanti e impreziositi dalla nobile,
ammaliante erre francese.
Albino
Monteduro
Ps: Ieri, avevo appena terminato di
scrivere l’articolo ed ero quasi sul punto di spedirlo, quando mi è
capitato di ascoltare una notizia di grande effetto in quel noto
programma di Fazio su Rai3: veniva rivelata l’identità dell’autrice del
libro più venduto in Italia nel 2022, Fabbricante di Lacrime di
Erin Doom. È apparsa una stupenda fanciulla (o poco più) della
quale, come piccolo anticipo sulla sua identità, è stato reso noto solo
il nome: si chiama Matilde. A parte le esigenze di scena, le trovate
pubblicitarie, la
suspense e altre
esigenze del genere, che spesso sono messe in relazione con eventi
generalmente rari ma assai piacevoli per il pubblico, ci si può attenere
solo ai fatti: ancora una volta, una scrittrice – e, a quanto pare, una
grande scrittrice – ha avuto il suo trampolino di lancio grazie alla
piattaforma di pubblicazione
Wattpad/Italia
che è una piattaforma sociale per la condivisione di storie,
completamente gratuita e raggiungibile solo attraverso la rete.
Da Fazio, la bravissima Matilde, ha informato i lettori dell’uscita del
suo prossimo libro Stigma il quale, questa volta, ha tutto il
sostegno di una casa editrice.
Per quanto mi riguarda, a dispetto dei nostri poliziotti da telefilm,
sono felice che sia donna (diventa sempre più frequente incontrarne nel
mondo letterario), sono felice che sia giovane (forse, i giovani non è
poi così vero che leggano poco in Italia), sono felice che sia stato un
pubblico, sulla base dei soli contenuti dell’opera, a
patentarla e a portarla, a forza, alla notorietà. Vai, Matilde! Siamo
con te.
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